La melicoltura
Il melo. Un paesaggio costruito: così si presenta oggi la Valle di Non, dove su gran parte della superficie fino ai 1.000 metri di altitudine si estendono i meleti. Nella seconda metà dell’800, a causa delle malattie e dei parassiti che colpiscono la coltivazione delle vite e la gelsicoltura, alcuni contadini cominciano a piantare alberi di melo. Per il solo distretto di Cles la produzione di frutta nel 1882 è di 1.729 quintali. Tre anni dopo il numero di quintali risulta più che raddoppiato: quasi 5.000 nel 1885. Di questi, circa 3.000 erano di mele, 1.500 di pere, 80 di ciliegie, 50 di prugne, 40 di pesche, 40 di cotogni e 10 di albicocche.
Nei primi decenni del ’900 la pratica colturale che ancora prevale in Anaunia è l’abbinamento prato-frutteto. Il terreno sottostante agli alberi da frutto è coltivato a foraggio e le piante, ad alto fusto, sono molto distanti tra di loro. Negli anni ’30 la produzione frutticola del Trentino proviene per il 40% dalla Valle di Non e sempre dall’Anaunia giunge il 70% della massa esportata. Ma è dopo la Seconda guerra mondiale che la frutticoltura si afferma definitivamente. Il boom della mela è da collocarsi tra gli anni ’60 e ’70 del ’900.
Giova allo sviluppo del meleto una serie di fattori tra i quali l’andamento del mercato, l’affermazione delle strutture cooperative, la diffusione e il miglioramento dei sistemi di irrigazione, la meccanizzazione, l’uso dei fitofarmaci, l’assistenza tecnica garantita ai coltivatori prima dall’Esat (Ente di sviluppo per l’agricoltura trentina) poi dall’Istituto agrario di San Michele all’Adige, la politica degli incentivi voluta dalla Provincia autonoma di Trento.
L’industria delle mele
Alla fine dell’800 l’agricoltura in Valle di Non e nelle altre valli del Trentino era praticata quasi esclusivamente per il fabbisogno familiare. Cento anni dopo, negli anni 2000, la produzione annuale di mele in Trentino è compresa tra i 4 e i 4,5 milioni di quintali all’anno che vengono esportati sui maggiori mercati internazionali. In poco più di un secolo sono mutati il paesaggio, i mestieri, la comunità. Il boom della mela si colloca fra gli anni ’50 e gli anni ’70. Tra i territori protagonisti si afferma decisamente la Valle di Non. I primi segnali si registrano alla fine degli anni ’40, quando la produzione delle mele in Trentino inizia a eguagliare quelle delle pere portandosi sui 300.000 quintali annui. Oggi, la produzione trentina viene conferita per l’85-90% a cooperative di primo grado riunite in organizzazioni di produttori (consorzi o cooperative di secondo grado) le quali, a loro volta, fanno riferimento a una più ampia organizzazione di terzo grado che svolge funzioni di coordinamento. Oltre 9.500 (dati aggiornati al 2012) sono gli ettari del territorio provinciale coltivati oggi a meleto. Di questi, 6.500 circa sono in Valle di Non, 950 circa in Valle dell’Adige, 760 circa nell’Alta Valsugana e Bersntol, 680 circa nella Piana Rotaliana. Seguono con percentuali minori tutti gli altri territorio del Trentino ad eccezione della Valle di Fassa e degli Altipiani Cimbri.
Il broilo
Nella prima metà dell’800 non c’è quasi traccia di alberi di melo in Valle di Non, come nel resto delle valli del Trentino. I pochi meli presenti si trovano nei broili. Con il termine broilo si identificavano i piccoli giardini, spesso recintati, a ridosso delle abitazioni signorili dove i benestanti si dedicavano per passione o per diletto alla coltivazione delle mele o di altri alberi da frutto.
Le coltivazioni di una volta
Il meleto odierno con la sua fisionomia – lunghi filari di piante sostenute da pali di cemento coperte spesso dai teli antigrandine dal colore verde o bianco – ha un po’ ovunque preso il posto del paesaggio tradizionale di un secolo fa, quando c’erano la vite, il gelso, l’allevamento del bestiame, la segale, il frumento, il granturco, l’orzo, alcuni tipi di legumi, il formenton, la patata, gli alberi da frutto come l’albicocco, il noce, il fico, il castagno, il ciliegio, il pesco, il pero, il pruno selvatico e poi le siepi di campo, il sambuco, la rosa di macchia, il maggiociondolo, la camomilla, la malva, l’origano, la primula, la viola, il millefoglio, altre varietà e erbe officinali.
Vienna 1889
Il primo premio assoluto alla mostra pomologica di Vienna nel 1889 viene consegnato ad una mela della Valle di Non.
Gli acquedotti
In Valle di Non la media di precipitazioni annue non è sufficiente per coprire il fabbisogno idrico del frutteto. La coltivazione del melo è perciò legata strettamente con la storia della costruzione degli acquedotti. Il primo, quello di Rumo, fu costruito nell’anno 1700 sfruttando le acque del torrente Lavazé. Altri 8 acquedotti, tra cui quelli di Fondo e di Revò, vengono costruiti nel corso del ’700. Tra gli anni ’50 dell’800 e gli anni ’30 del ’900 si registra i periodo di massima attività. Nel 1930 si stima che in Valle di Non i 33 acquedotti in funzione siano in grado di coprire una superficie irrigata pari a 2.930 ettari. Tra i principali si ricordano quelli di Banco-Malgolo-Casez (1787), Revò (1790), Tovel per i Comuni di Cles-Nanno-Tassullo-Tuenno (1854), Lover-Denno-Campo Denno (1855), Terres-Flavon-Cunevo (1905), Taio-Dermulo (1922), Romallo-Cloz (1922).
Spettacolare è il percorso dell’acquedotto (il lec) della Valle di Tovel, tutt’oggi funzionante e visitabile, scavato nella roccia viva tagliando una parete spessa e verticale.
La trasformazione del meleto
Agli alberi di melo di un tempo – i cosiddetti patriarchi, disposti nel campo fino a 50-70 metri di distanza con ampio areale, una folta chioma e uno sviluppo in altezza che poteva raggiungere i 4-6 metri – sono subentrati oggi i moderni impianti della frutticoltura intensiva, dove le piante sono messe a dimora a distanza molto ravvicinata, fino a 3,30 metri tra una fila e l’altra e 50-80 centimetri tra un fusto e l’altro.
60% e 15%
Nel periodo tra le due guerre il 60% della forza lavoro dell’Anaunia è occupato nei campi. Si tratta del maggior tasso di ruralità del Trentino. Negli anni ’90 il censimento della popolazione indica nel 15% la forza lavoro addetta all’agricoltura in Valle di Non contro il 4% della media provinciale e l’8% circa della vicina Valle di Sole.
Il “paesaggio costruito” della Val di Non
Il paesaggio agrario d’Anaunia non ha nulla di esclusivamente naturale. É un paesaggio antropico, letteralmente costruito, trasformato dall’attività dell’uomo. Frutticoltura intensiva, meleti, pali di cemento, magazzini e capannoni per la raccolta e lo stoccaggio della frutta, teli antigrandine, acquedotti.
I raccoglitori della Val di Non
Da terra di emigrazione a terra di immigrazione. Nel 2009 i dati relativi all’assunzioni di lavoratori immigrati nel solo comparto agricolo del Comprensorio della Valle di Non indicano un totale di 8.492 persone (6.618 maschi e 1.874 femmine), impegnate per la maggior parte nella raccolta delle mele.
La meccanizzazione
Nel 1936 in Trentino operano all’incirca 15 trattrici e 26 motocarri per uso agricolo. Nel 1996 si contano 12.000 mezzi solo in Valle di Non fra trattori, motofalciatrici, motoagricole e altri veicoli. Fino agli anni ’10 e ’20 del ’900 le campagne non conoscono la meccanizzazione. Il lavoro è frutto della forza umana e dell’utilizzo del bestiame.
I teli antigranadine
Nota peculiare del paesaggio agricolo in Val di Non sono i teli antigrandine. Ampie zone coltivate a melo, sia nella Bassa che nella Media valle così come sulla cosiddetta Terza Sponda, appaiono oggi letteralmente coperte da teli di colore bianco o verde distesi sopra gli alberi di melo per scongiurare i danni che può causare al frutteto le grandine. L’apposizione dei teli ha profondamente mutato l’aspetto moderno del meleto, e con il meleto anche quello del paesaggio, suscitando un forte dibattito.
Gli agrofarmaci
L’uso degli agrofarmaci si diffonde in Valle di Non negli anni ’50 e ’60. Con il termine fitofarmaco si intendono i prodotti di sintesi o naturali che vengono usati per combattere le avversità delle piante. É l’altra faccia del comparto agricolo in Valle di Non. Sono necessari per garantire continuità alla produzione, ma possono nuocere alla salute. Il rischio legato all’utilizzo di questo tipo di prodotti grava sull’operatore agricolo, che maggiormente è esposto ai pericoli connessi all’uso degli insetticidi, e grava sulla popolazione del territorio, che condivide con i titolari degli interessi agricoli ed economici un identico diritto alla salubrità dell’ambiente.
La varietà
Le principali varietà di mele coltivate in Trentino sono: Golden Delicious, Red Delicious, Morgenduft, Granny Smith, Idared, Gala (gruppo), Gloster, Elstar, Renetta Canada, Jonagold, Stayman (gruppo), Braeburn, Fuji e altre. La Golden Delicious partecipa con oltre 65% alla composizione varietale dell’offerta melicola trentina seguita dalla Red Delicious (7%) e Renetta Canada (3-4%). Sono in crescita varietà come la Gala e la Fuji.
I meleti in Trentino
Oltre alla Valle di Non, i territori dove si coltiva il meleto in Trentino sono la Bassa Val di Sole, la Valle dell’Adige (in modo particolare la Piana Rotaliana e i territori a sud di Trento), la Vallagarina, l’Alta e la Bassa Valsugana, la Valle dei Laghi e il Basso Sarca.
Citazioni principali dalle fonti bibliografiche
“La coltivazione degli alberi da frutto, pomi, peri, prugni, ciliegi, è in generale negletta in Trentino. Fanno eccezione alcuni territori di monte e specialmente Revò e i villaggi vicini nella Valle di Non, ove si producono in tanta copia dei frutti squisiti d’inverno da farne commercio non solo in tutta la valle, ma si spediscono anche in più lontani paesi”.
1852, Agostino Perini, Statistica del Trentino
“Vi regnano vini in molta copia, e di grano, oltre quel per il paese, ne va fuori una gran parte: e si suol dire che la val di Non sia il granaio di Trento, chiamandosi anche val Nonia, o Annonia, quasi Annonia”.
1673, Michel’Angelo Mariani, Trento con il sacro Concilio et altri notabili
“La pomologia ha un bell’avvenire in Valle di Non”.
1873, Relazione sull’andamento dell’annata agricola per il Trentino
“Il grano saraceno o poligono nel distretto di Cles è un prodotto molto rilevante per l’alimento della popolazione, e quando nel luglio e nell’agosto fiorisce, imbianca un terzo quasi della valle e mauda un gratissimo odore di miele”.
1852, Agostino Perini, Statistica del Trentino