L’orticoltura
L’orticoltura trentina ha rappresentato una risposta alle esigenze di autoconsumo da parte delle famiglie contadine. Gli orti alpini, in generale, costituiscono piccole porzioni di territorio racchiuso da recinti in legno e coltivati con diverse tipologie di piante a uso alimentare e officinale. Non si può identificare, pertanto, una particolare unità strutturale di paesaggio agrario. Va tuttavia segnalata la nascita e la diffusione, a partire dagli anni ’70 del ’900, di una cooperativa ortofrutticola in Comune di Ronzo Chienis in Val di Gresta.
Tale iniziativa imprenditoriale cambierà il volto della Val di Gresta attraverso l’orticoltura (sedano-rapa, radicchio, cicoria pan di zucchero, insalata riccia e scarola, fagiolini, fagioli da sgranare, zucchina, zucca, pomodoro, cipolla, porro, verza, cetriolo, rapa rossa, spinacio, bietola di costa, indivia, carota, cavolo verza, cavolfiore, prezzemolo, barbabietola e altre varietà). La Val di Gresta diventa l’orto biologico del Trentino. Le coltivazioni di ortaggi si trovano disposte lungo curve di livello disegnate da ampi terrazzamenti sostenuti da muri a secco che, poco al di sotto di Passo Bordala, seguono il bacino imbrifero del Rio Gresta, tributario del Rio Càmeras, a valle del Lago di Loppio.
Si tratta di un interessante e riuscito esempio di nuova colonizzazione rurale che ci autorizza a parlare di vero e proprio paesaggio orticolo. A nord di Trento, sulla destra orografica del fiume Adige, un’altra interessante pratica orticola di rilevanza paesaggistica è rappresentata dal territorio di Zambana, ai piedi della Paganella. La particolare disponibilità di terreni sabbiosi, generati dal limo del grande fiume atesino, ha creato le condizioni favorevoli alla coltivazione dell’asparago bianco, particolarmente apprezzato in cucina.
Già a partire dal secolo XIX inizia questo tipo di coltivazione. Con l’avvento degli anni ’60 e ’70, la diffusione del prodotto interesserà superfici più ampie, oggi attorno ai 20 ettari, arricchendo ulteriormente il paesaggio orticolo. Paesaggisticamente rilevanti sono anche le coltivazioni di patata del Lomaso, nelle Giudicarie Esteriori.
L’orto familiare
L’orto familiare è caratteristico della tradizionale economia contadina, basata anche sullo scambio di merci tra famiglie. Si trova normalmente in prossimità delle abitazioni, finalizzato alla produzione di ortaggi frammisti a piante aromatiche, alberi da frutto e fiori recisi coltivati in armonia con la stagione.
La patata blu
Negli ultimi decenni del ’900 un emigrante trentino di ritorno dalla Svizzera introduce a Margone, in Valle dei Laghi, un nuovo tipo di patata. Il tubero presenta una vistosa colorazione blu scuro della polpa. Negli anni successivi un ristorante di Vezzano sperimenta con successo la nuova varietà di patata che suscita curiosità e raccoglie giudizi positivi. Il prodotto viene promosso con il nome di “patata blu” (nel dialetto locale bluona). Nei pressi di Vezzano vengono avviate così le prime coltivazioni. Oggi se ne ritrovano alcuni campi anche in altre ristrette aree della Valle dei Laghi e nel Lomaso, nel Chiese e nella Val di Ledro.
Il broccolo di Torbole e il broccolo di Santa Massenza
Le basse temperature e il vento caratteristici dell’entroterra gardesano creano le condizioni, assieme ad altri fattori microclimatici, per la produzione del broccolo di Torbole, interessante nicchia di mercato. Da oltre due secoli questa specie viene coltivata in una zona assai limitata tra il Monte Brione e il paese di Torbole. Si suppone tuttavia che l’origine del broccolo di Torbole abbia radici ancora più antiche. Nel corso dei secoli, questa varietà ha assunto caratteristiche proprie costituendo una specie a sé oggi molto ricercata, seppure le quantità prodotte siano minime. In Trentino, la stessa varietà è coltivata anche nella zona di Santa Massenza, sulle coste di Fraveggio, sopra Vezzano, in quantità ancora più limitate.
L’80% è biologico
La costante ascesa qualitativa dell’orticoltura in Val di Gresta è rispecchiata dalla percentuale crescente di ortaggi da produzione biologica (80%) rispetto a quella di produzione integrata (20%). I prodotti biologici si ottengono escludendo dalla coltivazione l’impiego di concimi minerali e di antiparassitari di sintesi, nonché qualsiasi altro mezzo o intervento agronomico di forzatura.
Il 50% è in stato di abbandono
Sul comparto orticolo della Val di Gresta grava il problema tecnico-economico dell’abbandono dei terreni. Un problema anche paesaggistico. Ad oggi, si stima un 50% di superficie coltivabile in stato di abbandono. La superficie agricola utilizzabile dell’intera valle è di 575 ettari circa, dei quali solo 219 sono dotati di impianto di irrigazione. La superficie effettivamente coltivata a ortaggi ammonta oggi a 121 ettari suddivisi fra soci del principale consorzio locale (73 ettari) e non soci (48 ettari). La quantità di ortaggi conferita alla cooperativa non va oltre i 20.000 quintali. Negli anni ’80 del ’900 si arrivava a 80/100.000 quintali.
I crauti
I crauti della Val di Gresta derivano dalla fermentazione controllata di sottili fettucce di foglie di cavolo cappuccio bianco o rosso a maturazione autunnale. In valle si coltiva anche una varietà di cavolo cappuccio a maturazione precoce, che si raccoglie all’inizio dell’estate, utilizzata come verdura fresca affettata sottilmente e condita con olio, aceto e sale. I crauti hanno una lunga tradizione in Val di Gresta. La ditta Meneghelli, titolare di un opificio specializzato nella produzione di crauti con sede a Mori in Vallagarina, acquistava in Val di Gresta già nel 1882 i cavoli da trasformare in crauti. Fin dai primi decenni del secolo scorso era presente inoltre un’importante crauteria a Ronzo Chienis e altre si strutturarono negli anni a seguire. Ancora oggi la Val di Gresta è specializzata nella trasformazione di cavoli cappucci in crauti e nella commercializzazione del prodotto finito. Nel secolo scorso i crauti della val di Gresta raggiungevano in treno, partendo dalla stazione di Mori, perfino la città di Trieste.
L’asparago in Trentino
Le prime notizie circa la coltivazione dell’asparago in Trentino risalgono ai primi anni dell’800, quando furono pubblicate sulla rivista Annali dell’agricoltura del Regno d’Italia alcune memorie sullo stato dell’agricoltura locale. Già in quegli anni era coltivato l’asparagus officinalis a partire da semi provenienti da Ulma (Germania) “ne’ campi sabbiosi dietro l’Adige” con risultati soddisfacenti sotto l’aspetto delle qualità organolettiche dei prodotti. Nel corso dei secoli, pur con fasi altalenanti, la coltivazione dell’asparago ha saputo perpetuarsi. Oggi, in Trentino, le zone di produzione dell’asparago bianco si trovano nei comuni di San Michele all’Adige, Nave San Rocco, Zambana, Lavis, Trento, Romagnano, Aldeno, Rovereto. Spicca tra questi l’asparago di Zambana. Piccole oasi produttive si trovano inoltre nell’Alto Garda e in Valsugana. La superficie complessiva coltivata è di 20 ettari con una produzione annua di 400-600 quintali. Le proprietà dell’asparago bianco del Trentino (delicatezza di gusto, tenerezza e sostanziale assenza di fibra) dipendono soprattutto dalle caratteristiche del terreno che deve essere sabbioso e friabile. Il campo nel quale si coltiva l’asparago prende il nome di asparagiaia. Un’asparagiaia ben coltivata può durare 15-20 anni.
La patata di montagna
La coltivazione della patata si diffonde in Trentino nella seconda metà dell’800. Alla fine degli anni ’40 del ’900 la patata da consumo fresco occupava una superficie di circa 10.000 ettari con una produzione annuale di 1 milione di quintali. Era diffusa in quasi tutte le valli. Insieme alla polenta rappresentava uno degli alimenti principali. Oggi la produzione trentina non supera i 100.000 quintali ed è limitata a quattro zone in particolare: Val di Gresta, Giudicarie Esteriori (Lomaso), Valle di Cavedine e Media Valle di Non (Romeno, Sfruz, Smarano). La qualità della patata del Trentino deriva dal fatto di essere coltivata in zone di montagna. Da un confronto effettuato fra 5 varietà di patata coltivate nel bolognese e nel Trentino, è risultato che quelle coltivate in provincia di Trento (nelle zone della Val di Gresta e nel Lomaso) sono più ricche di acido ascorbico (vitamina C), sono meno soggette all’imbrunimento della polpa e si conservano più a lungo. Non richiedono pertanto trattamenti chimici volti a impedire il germogliamento anticipato dei tuberi. Fino a qualche decennio fa rivestiva una certa importanza economica in Trentino anche la coltivazione della patate da seme.
Citazioni principali dalle fonti bibliografiche
“Questa coltivazione è ora estesa al monte e al piano e si alterna col grano turco. La patate si coltivano però di preferenza nelle valli di monte, ove riescono più saporite”.
1852, Agostino Perini, Statistica del Trentino
“Gli orti che qui si coltivano sono per lo più pezzi staccati, vicini alle case, e generalmente di piccola estensione. Questi non sono molti ma però sufficienti per fornire il paese de’ necessari erbaggi. Non havvi neppure un orto che venga irrigato con rigagnoli, ma sono tutti adaquati a mano”.
1811, Annali dell‘agricoltura del Regno d’Italia