Lavori e paure attorno al fiume
Come attestano molte carte degli archivi della valle, dal secolo XV fino alla metà dell’Ottocento, il fiume Chiese venne usato come via naturale di trasporto e commercio del legname destinato alla Pianura Padana. Quegli stessi tronchi (“bóre”), accatastati presso città e paesi della Lombardia, venivano poi segati a mano dagli uomini della Valle Chiese che stagionalmente scendevano in pianura in cerca di lavoro e pane.
I commercianti lombardi facevano abbattere grandi quantità di alberi nelle rigogliose foreste della Valle di Daone e delle valli laterali, ne accatastavano i tronchi lungo le sponde del fiume e, quando le acque si gonfiavano per le abbondanti piogge, approfittavano della piena per organizzare le “cacciate” o “menate”, che secondo le disposizioni del principe vescovo di Trento non potevano avere più di 500 tronchi per volta.
Le acque impetuose del fiume, miste a tronchi e detriti d’ogni genere che ostruivano il regolare deflusso della corrente, danneggiarono spesso le canalizzazioni dei mulini, delle segherie e delle fucine, che sorgevano numerose presso le rive del fondovalle e a fianco dei numerosi torrenti e rii che scendevano dagli scoscesi fianchi della montagna. Uscendo dai fragili argini, seminavano rovina nei terreni pubblici e privati, così che dopo ogni alluvione i contadini dovevano dissodare e rivoltare il terreno inondato in modo da riportare in superficie la terra fertile.
Dopo le disastrose piene della seconda metà del Settecento, la fluitazione fu bloccata ed i Comuni avviarono una lunga opera di costruzione e consolidamento degli argini, lavori che si conclusero solo nella prima metà del Novecento.
Con la realizzazione delle dighe e delle centrali idroelettriche e il graduale passaggio dalla società agricolo-pastorale a quella industriale e dei servizi, la corrente del fiume perse vigore e il paesaggio mutò completamente: le officine che sfruttavano la forza motrice dell’acqua sono scomparse e le acque sono regolamentate.
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