Un territorio che si racconta
Molti registi, a vario titolo e con taglio diverso, hanno voluto raccontare i luoghi e le persone delle centrali idroelettriche della Valle di Daone. Le trasformazioni del paesaggio, le storie di chi ha vissuto questo cambiamento o semplicemente la bellezza “artificiale” e al tempo stesso selvaggia di questi luoghi, sono diventate così protagoniste di film e documentari.
Un poco più che ventenne Ermanno Olmi venne inviato in Valle di Daone per documentare la nascita dell’impianto idroelettrico dell’Alto Chiese. Realizzò tre documentari: “Manon Finestra 2” (1956), realizzato in collaborazione con Pier Paolo Pisolini, “Tre fili fino a Milano” e “Alto Chiese” (1961), accomunati dalla particolare attenzione rivolta alla condizione degli “umili”, agli uomini che lavorano agli impianti, al rapporto fra gli operai e la popolazione locale e alla natura, silenziosa protagonista dell’avanzare della modernità.
Il regista bresciano Angio Zane documentò la Valle di Daone prima e dopo i lavori con “Acque dell’Adamello”.
Più recentemente Katia Bernardi, regista e autrice trentina, ha firmato “Gli Uomini della Luce” (2011), un documentario che attraversa oltre mezzo secolo di storia insieme ad alcuni dei lavoratori che hanno vissuto in prima persona l’impresa della costruzione delle grandi centrali idroelettriche. Sempre Katia Bernardi ha realizzato “Funne. Le donne di Daone, la loro storia, la loro comunità” (2013), un progetto del Comune di Daone sostenuto dall’Assessorato alle Pari Opportunità della Provincia Autonoma di Trento. Le “Funne” di Daone, ossia le donne, sono state videointervistate e hanno raccontato la loro esperienza di vita con riferimenti – ovviamente per le più anziane – ai cambiamenti derivanti dai “grandi lavori”. Ne è nato così un intenso documentario che racconta, per la prima volta, il punto di vista femminile attorno a questioni fino a questo momento prettamente maschili.