La fluitazione del legname sul fiume Chiese
Per secoli l’unica fonte di ricchezza della Valle del Chiese fu quella del legname. Si comprende quindi come le nostre comunità fossero particolarmente attente a disciplinarne in vario modo la conservazione e lo sfruttamento.
I documenti degli archivi locali documentano una lunga storia di fluitazione del legname sulle vorticose acque del fiume Chiese. Questo traffico commerciale ebbe i suoi albori agli inizi del Quattrocento.Il 18 agosto dell’anno 1405, nel castello di Stenico, alcuni commercianti di legname della Pieve di Bono chiesero la licenza di poter fluitare lungo il Chiese, nel tratto compreso fra la comunità di Daone e quella di Condino, una consistente partita di tronchi e di legname di vario genere per il restauro e la ristrutturazione degli edifici privati.
Il fatto preoccupò non poco la comunità di Condino, nonostante i richiedenti si ostinassero a dichiararsi pronti a risarcire ogni danno arrecato nell’esercizio di questa loro inusitata attività. Nella lunga serie delle udienze che costellarono il dibattito processuale i Condinesi riferirono che i commercianti facevano sconsideratamente abbattere grandi quantità di alberi nelle rigogliose foreste della Valle di Daone, ne accatastavano i tronchi lungo le rive del Chiese e, quando le sue acque si gonfiavano per le abbondanti piogge, approfittando della piena li gettavano nel suo alveo per giorni e notti interi causando danni alle canalizzazioni dei mulini ed ai terreni pubblici e privati lungo le rive del fiume.
Spesso infatti, per la piena eccessiva, le acque impetuose del Chiese, miste a tronchi e detriti d’ogni genere che ne ostruivano il regolare deflusso, debordavano paurosamente dagli argini seminando distruzione e rovina per le campagne. E come se ciò non bastasse, i responsabili di tali calamità pretendevano il diritto di andare con carri e buoi per i campi e prati altrui a recuperare il legname esalveato.
La fluitazione sul Chiese venne condotta su larga scala da un numero sempre crescente di commercianti, coinvolgendo sempre più le comunità. Il 20 marzo 1455 se ne occupò lo stesso principe vescovo di Trento, Giorgio Hack. In quell’occasione fu la comunità di Storo a presentare le proprie lagnanze, e il vescovo non poté non ammettere che “a
proposito del trasporto di certe bore e legname che i sopra nominati uomini della Valle di Buono trasportano e fanno trasportare sulle acque del Chiese… i nostri uomini di Storo sarebbero molestati e danneggiati moltissimo nei loro campi, prati ed in altri possedimenti”.
Nel confermare dunque ai commercianti il diritto di fluitazione esercitato “da tempi remotissimi”, la sentenza vescovile ordinò che il legname della condotta incriminata fosse sequestrato e che in futuro i danni arrecati venissero stimati da appositi probiviri, scelti di comune accordo fra le parti, e fossero rifusi alla parte offesa.
Una più violenta lite sorse nel 1468 quando alcuni soci in affari di Daone, Bersone e Cologna fecero fluitare una consistente quantità di tronchi tagliati in Valle di Daone. Alla richiesta delle comunità lese di procedere alla nomina di pubblici estimatori dei danni fu risposto con un netto rifiuto. Allora Storo e Condino procedettero autonomamente all’immediato sequestro di una certa quantità di tronchi esalveati, ricavandone con la loro vendita ad alcuni commercianti bresciani la somma di 40 ducati d’oro. A questo punto i commercianti della Pieve di Bono s’affrettarono a rivendicare a loro volta la restituzione di 1.200 “planchoni o borre” illegalmente sottratti. La questione finì dinanzi al vescovo di Trento, Giovanni Hinderbach, che il 16 marzo 1470 emanò una nuova e più dettagliata sentenza:
1) la Pieve di Bono venne ufficialmente diffidata dall’introdurre forestieri a tagliare legname nelle selve della Valle di Daone, a scanso di sequestro dell’intera partita del legname tagliato o fluitato a favore del fisco vescovile e delle comunità danneggiate;
2) ogni fluitazione non doveva superare il numero di 500 tronchi per menata. Tutto il legname eccedente doveva essere assegnato alle comunità torteggiate a risarcimento dei danni subiti;
3) detti commercianti di legname erano tenuti ad avvisare preventivamente le comunità a valle, usando ogni cautela per evitare danni a cose o persone.
Nuove liti e nuove sentenze si susseguirono nei secoli successivi, ma l’attività di fluitazione continuò fino verso la metà dell’Ottocento. Nel primo decennio di tale secolo la comunità di Storo ricavava quasi il 20% delle entrate dalla fluitazione del legname sul fiume Chiese, incassando 12 soldi (12 euro di oggi) per ogni tronco fluitato, indipendentemente dalla località di partenza.
I tronchi provenienti dalla Valle di Daone erano messi in acqua “alla sombliga”, che era una struttura costruita dall’uomo sotto Bersone presso il “Put de la Sombliga”, e a Pieve di Bono, nella località detta “Porto delle Bore”, nei pressi dell’attuale locanda Borèl, alla confluenza del Chiese col torrente Adanà. A valle di Pieve di Bono c’erano strutture per la messa in acqua alla confluenza del torrente Giulis (in località Ciarè), all’innesto del torrente Sorino e al cosiddetto “Porto del ponte Chies”, all’altezza di Casa Rossa.I registri di Storo del 1808 riportano che in quell’anno “alla sombliga” furono messi in acqua 555 tronchi, al “Porto delle Borre” 3.529, al Giulis 354, al “Porto del ponte Chies” 1.043. Il denaro che le comunità della valle incassarono dalla fluitazione trova oggi una qualche corrispondenza negli indennizzi derivanti dallo sfruttamento delle acque per la produzione di energia elettrica, introitati dal Consorzio dei Comuni del B.I.M. del Chiese che li utilizza per progetti di valle e li ripartisce tra le varie amministrazioni comunali.