Trasformazioni urbane: il caso di Cles
Il protagonista di questa trasformazione è il paesaggio di Cles, capoluogo della Valle di Non, la valle più estesa del Trentino.
Interpretare oggi il paesaggio di Cles, non è così semplice. Primitivamente infatti il paesaggio si è evoluto lentamente, poi, con il Novecento e l’avvento di nuove tecniche costruttive, la scenografia è mutata rapidamente. Le trasformazioni, avvenute nell’ultimo mezzo secolo, hanno portato ad una diversa concezione etica del paesaggio: da un sentimento romantico e sognatore del paesaggio si è passati ad una concezione più economica e commerciale.
Oggi il paesaggio di Cles è formato da numerosi riferimenti visuali. I più importanti sono: la chiesa mparrocchiale di Santa Maria Assunta, che guida lo sguardo, attraverso la piazza, al Corso Dante, mdove è situato Palazzo Assessorile e il Castello dei Cles che sorveglia il lago artificiale di Santa Giustina.
L’EVOLUZIONE E LA TRASFORMAZIONE DEI CONTESTI URBANI E DEL TESSUTO EDILIZIO
Cles si trova ad un’altitudine di 635 metri e ad oggi conta circa settemila abitanti. L’altopiano su cui è situato è dominato da una corona di montagne di eccezionale bellezza in cui spicca il Gruppo delle Dolomiti di Brenta. Il paesaggio come noi lo percepiamo, è il risultato finale di una vicenda durata secoli, nella quale è possibile individuare più scenari che si evolvono dall’età del bronzo sino all’Ottocento.
Numerosi reperti archeologici che risalgono all’età neolitica e del bronzo testimoniano la formazione antichissima del paese di Cles.
Il paesaggio che si prospettava nell’antichità prevedeva due zone ben distinte: una insediativa, posta a Est del paese, situata ai limiti di un bacino lacustre e abitata dall’età del ferro sino all’età romana e una sacra, collocata sul terrazzamento di Campineri.
Se proviamo a rivivere la situazione d’allora, possiamo così immaginarla: in alto, ai piedi del Monte di Cles, vi era la zona sacra del santuario con le sue strade sacre, attraversate dalle processioni, che si concludevano con i roghi votivi per i sacrifici in zona Campineri ed il nucleo abitativo, disposto con ordine e separato, tramite il bacino lacustre, dalla zona sacra. Le case erano proprie della gente dedita in prevalenza a lavori agricoli, e non vi è traccia di fortificazioni a difesa del villaggio (1).
Con il diffondersi del Cristianesimo il tessuto paesaggistico viene integrato con l’ edificazione delle prime chiese paleocristiane, che ancora oggi possiamo riconoscere per la loro particolare disposizione. Esse infatti sorgevano solo lungo il versante posto a est del paese, a sorveglianza della Valle, nel punto più panoramico dove scorreva la Via Romana, via di accesso al paese.
La presenza di più chiese è significativa, poiché conferma che in origine vi era la presenza di nuclei abitativi ben distinti: Maiano, Pez, Dres e il centro. La loro disposizione non era dunque casuale, per cui si può ipotizzare che il piccolo laghetto delle Moie fungesse da spartiacque fra le espressioni della religione pagana e quelle della nascente religione cristiana.
In seguito alla caduta dell’Impero Romano ed alle successive incursioni barbariche, regredirono, in Val di Non, sia il territorio che il tessuto sociale. Nel caso di Cles plausibile fu la presenza di più torri di visione a guardia del luogo, presenti in più punti: località San Vito, Mechel, Ciastelaz. Si trattava di torri isolate poste a difesa di zone particolari, che costellavano la Val di Non ed erano intervallate a distanze regolari per le segnalazioni.
Nel Medioevo, il borgo di Cles, consisteva già in tre nuclei abitativi: Prato, Pez, Spinazeda, centri tuttora così denominati. Nuclei che si erano sviluppati su dossi e terrazzi intorno all’area acquitrinosa delle Moie.
Il paesaggio agreste medievale era caratterizzato da prati incolti, che arrivavano al limite del bosco di pini, abeti e larici. A partire dal XV secolo vennero coltivati soprattutto: segala, avena, orzo, frumento e miglio, rape, legumi, fave, fagioli e la vite. Una pratica dell’agricoltura, pur sempre limitata, sufficiente al sostentamento famigliare, tale per cui i rioni del borgo apparivano come isole disseminate in una distesa di selve. È il caso dei rioni di Pez, Spinazeda e Prato, nei cui toponimi si narra l’antico paesaggio. Nelle vicinanze di Pez vi è un dosso, denominato sin dal Medioevo Dos di Pez, poiché ricoperto di abeti, Tiberio Claudio. Il toponimo latino Spinazeda compare nel 1355 e deriva da spina, attribuito, probabilmente, alla ricca vegetazione di arbusti spinosi diffusa ai margini dell’antico lago.
Oggi, l’impronta medioevale maggiore nel paesaggio di Cles, è data da Castel Cles.
Il Castello apparteneva alla famiglia dei Cles e è posto su un cocuzzolo, nella zona in cui un tempo passava la via che portava al borgo.
La posizione arroccata, non proprio vicina al paese e posta in un luogo isolato, rivela l’importante ruolo di difensiva e di presidio stradale che esso rivestiva.
Il momento di maggiore sviluppo e splendore del tessersi del paesaggio di Cles risale al Cinquecento, grazie alla nobile famiglia de Cles, in latino Clesio, una fra le più antiche, illustri e benestanti del Trentino. (2)
Grazie al sostegno economico dato dal Principe Vescovo Bernardo Clesio alla comunità, il paesaggio passò da medievale a rinascimentale. Egli interagì nella promozione di interventi edilizi come: il restauro di Palazzo Assessorile, che a quel tempo era il palazzo del nipote Ildelbrando, e la realizzazione della chiesa parrocchiale.
Dal Seicento all’Ottocento pochi furono i cambiamenti urbanistici di Cles, si trattò, per lo più, di cambiamenti rurali. Ciò accadde perché il Trentino, nei primi decenni del Seicento, fu segnato dal diffondersi della peste, propagatasi a causa della turbolenza della guerra ed al rastrellamento dei viveri.
A Cles, venne fatto voto che se la popolazione fosse stata preservata dal flagello della peste, la comunità avrebbe innalzato un convento per i frati francescani. Il 24 agosto del 1631, non essendoci stata alcuna vittima, il vescovo Carlo Emanuele Madruzzo benedì la prima pietra del convento in località Spinazeda. Sorse così il la Chiesa e il Covento dei Frati, tuttora esistente. Si scelse Spinazeda perché di fronte transitava l’arteria principale (Via Traversara) e anche perché questo distretto, nonostante fosse il più popoloso, non aveva ancora una propria chiesa.
La vita del paese e dell’intera Valle di Non non fu più sconvolta fino al 1796. Ben presto però iniziò un ventennio straziante, fino al 1814, infatti, la Valle fu occupata da soldati francesi e austriaci. Iniziò una fase economicamente infelice per la cittadinanza, sia per la confisca di bestiame che per l’imposizione di ingenti imposte (3). Per comprendere l’aspetto del paesaggio basti pensare che i boschi raggiungevano l’ingresso dei distretti e i campi apparivano incolti (4).
Nelle disgrazie di questi secoli la fortuna volle che dall’1 al 10 settembre 1795 soggiornasse a Cles l’arciduchessa Maria Elisabetta, figlia dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria. La presenza di questi personaggi famosi comportò grandi cambiamenti nell’urbanistica di Cles: soprattutto il centro fu rivalutato dalla stessa imperatrice Maria Teresa d’Austria, la quale si occupò di avviare un’impresa di bonifica della zone umide di Moie, lago della Colombara e lago di Santo Spirito. Il 1750 fu l’anno in cui avvenne la bonifica dei Paludi, ottenuta con l’apertura di un avvallamento per lo smaltimento delle acque (5). Le zone paludose furono interrate con materiale proveniente dal monte6. L’impresa di bonifica delle paludi comportò un cambiamento, sia paesaggistico sia economico, rilevante in quanto i terreni risanati furono meticolosamente suddivisi in particelle fondiarie aggiudicati per la coltivazione.
Nel 1759, inoltre, l’imperatrice Maria Teresa d’Austria ordinava l’istituzione su tutto l’impero dei registri e delle mappe catastali, i cui rilievi terminarono nel 1861.
Fu così che nel Settecento in Trentino s’intraprese la messa a coltura del granturco e, nel 1797, della patata7. Si passerà dunque dalla visione di un paesaggio rustico coltivato a legumi negli orti circostanti le case, a un paesaggio geometricamente suddiviso e costellato dagli steli del granturco e dai fiori bianchi delle patate.
Nell’Ottocento la coltivazione della vite conobbe un notevole sviluppo economico, tale che i tralci di vite tinsero con il loro verde il paesaggio di Cles e la Valle di Non. Le viti ricoprivano i terreni soleggiati e declinanti di Caltron, Maiano e Dres (8).
Nel paesaggio agrario clesiano, nei primi anni dell’Ottocento, compare anche la gelsicoltura. Le prime coltivazioni di gelsi pervennero in Val di Non nel Seicento, dando vita a molte filande, riconoscibili nel paesaggio di allora per le grandi finestre (9), che garantirono una essenziale fonte di sostentamento per la popolazione (10).
Il progresso del sistema viario con il suo miglioramento economico accentuò il ruolo di Cles come capoluogo della Valle e in particolare Piazza Granda diventò il centro rilevante del paese, per l’arrivo dei carri dei commercianti e punto di incontro per le operosità delle genti provenienti dai paesi limitrofi (11).
Nel frattempo in Valle di Non il paesaggio agrario dava inizio a una trasformazione: la coltura dei gelsi continuava, ma gli alberi da frutto iniziavano a rubare la scena al paesaggio tradizionale. A Cles, fu Domenico Viesi, uno dei precursori della frutticoltura nonesa, il primo a piantare i meli nelle vicinanze del paese (12). Questo inizio di prosperità seguì una battuta d’arresto, quando la Valle di Non e in particolare Cles furono colpiti più volte da un’epidemia di colera.
Nel 1836 non essendo più attiva la Confraternita di San Rocco, allora nominata Congregazione di Carità (13), venne allestito Palazzo Assessorile per la degenza dei malati (14). Nel 1855 l’epidemia colpì un’altra volta la popolazione e, in quest’occasione, fu la canonica la sede per i malati assistiti. Il capoluogo della Valle di Non dovette attendere il 1888 per l’inaugurazione di un vero ospedale. Il nuovo ospedale prese sede in un’ex filanda di Pez, posta nell’attuale Via Diaz, edificio che venne ceduto alla Congregazione di Carità. Nel 1950, in seguito alla costruzione dell’Ospedale Civile questo edifico, detto l’Ospitale del Ponte degli Amori, venne adattato a caserma dei Vigili del fuoco (15).
L ’Ottocento, in senso figurato, è stato una pietra miliare per l’evoluzione del paesaggio clesiano. Esso si potrebbe ritenere l’ultimo stadio della trasformazione indispensabile all’insediamento, quadro che verrà poi stravolto dopo la seconda guerra mondiale. Nel 1950, infatti, il volto del paese iniziò a cambiare decisamente e si verificò un processo di urbanizzazione che rese quasi irriconoscibile, per certi aspetti, l’ultima fase evolutiva del centro abitato.
Nella mappa catastale ottocentesca di Cles appaiono chiari i tre distretti di Spinazeda, Pez, Prato che presentano un’organizzazione insediativa lineare disposta lungo il tracciato viario storico. Il paese è costituito da questi tre nuclei separati da spazi destinati all’agricoltura (16). L’apparato stradario ha come centro di ritrovo Piazza Granda e non l’attuale piazza antistante la Chiesa Parrocchiale.
Agli inizi del Novecento Cles era ancora un piccolo borgo. Da un’indagine di Cesare Battisti nel 1890 appaiono censite a Cles 288 case, abitate da 2.186 clesiani. I documenti di fine Ottocento contenuti nella boccia del campanile della Chiesa Parrocchiale di Cles testimoniano che una crisi interessò le piantagioni di vite, la gelsicoltura e le coltivazioni di patata. Crisi che portò al diffondersi della coltura degli alberi di melo e di pero: prodotti che fino all’Ottocento erano coltivati per l’autoconsumo.
Nei primi anni del Novecento prese piedi la coltivazione della mela, ma se oggi i meli coprono la Valle di Non come un tappeto verde, disposti in maniera rigorosamente geometrica e curata, inizialmente il paesaggio non appariva come l’attuale.
Si dedurrebbe che Cles, fino alla metà del Novecento, presentava un paesaggio agricolo promiscuo, dove la coltura delle mele non aveva ancora assunto i caratteri industriali attuali. Oltre al mutare del paesaggio agreste, il Novecento segna il paesaggio clesiano con l’inserimento di elementi paesaggisti rilevanti per l’urbanistica: la viabilità e l’economia valliva.
Il primo di questi è la tranvia, che fa il suo ingresso l’’11 ottobre 1909. Si tratta della tranvia Trento–Malé, la prima ferrovia in Italia ad utilizzare la corrente elettrica, e che collegava Trento con Malè attraverso la Piana Rotaliana, la Valle di Non e la Valle di Sole. I primi trenini viaggiavano ad una velocità di 17 km orari ed erano quindi molto lenti. A livello popolare è conosciuta come Vaca nonesa, che significa mucca della Valle di non.
Nel centro di Cles la tranvia sostava due volte (17): la prima volta fermava presso una stazione in stile liberty, nei pressi della Chiesa Parrocchiale, poi, percorrendo Corso Dante, nel centro del paese, raggiungeva la seconda fermata, posta in Via Fabio Filzi, sul sito dove ora sorge la Scuola Primaria (18).
Il più importante avvenimento che plasmò il paesaggio fu la Diga di Santa Giustina. Inaugurata nel 1951, la diga di Santa Giustina rappresentò una vera e propria conquista ingegneristica. Con i suoi 52 metri di altezza vantò il primato della diga ad arco più alta d’Europa.
Con la costruzione della diga, alimentata dal fiume Noce, si venne a formare l’omonimo lago di Santa Giustina: il più vasto bacino idroelettrico del Trentino. La realizzazione della diga ha comportato un enorme stravolgimento paesaggistico. Quelle che ora sono le sponde del lago un tempo erano vigneti, campi di frumento, zone di pascolo o boscose che coronavano il profondo dirupo percorso dal torrente Noce, attraversato da ponti e strade di epoca romana.
Le acque del lago artificiale, insinuandosi nella valletta del Noce, hanno mutato totalmente il paesaggio e hanno assunto l’aspetto di un fiordo norvegese che si inserisce con armonia nel paesaggio attuale.
La ripresa economica portò ad un diffondersi nel centro di negozi.
La piazza antistante la Chiesa Parrocchiale, denominata Piazza San Rocco, assunse la fisionomia che l’accompagnò per decenni: dinanzi i palazzi di fine Ottocento fu infatti interrata una doppia fila di ippocastani che crescendo formarono una particolare galleria (19).
Nel 1950 la tranvia diventerà ferrovia Trento – Malé, con un’unica stazione posta ad est del paese, L’immediato secondo dopo guerra, negli anni Cinquanta del Novecento, determinò una netta ripresa economica. L’aumento di benessere proiettò la popolazione in una nuova fase socio–culturale. Il boom economico portò ad un aumento della popolazione e al duplicarsi dell’insediamento clesiano. Fu un momento che segnò la forma urbana e il paesaggio di Cles. Il paese si espanse, crescendo a tal punto da unire le tre contrade. La società era in continuo movimento. La voglia di lasciarsi alle spalle i dolori della seconda guerra mondiale e del fascismo portò alla costruzione, con ritmo dinamico, di nuove abitazioni e fabbricati industriali. Tra le novità di maggior spicco vi fu la costruzione dell’Ospedale Civile.
Dagli anni Cinquanta il paese di Cles fu in continua evoluzione urbanistica e agricola. Si potrebbe ipotizzare che a partire dall’Ottocento l’economia è stata il motore dei cambiamenti paesaggistici subiti.
NOTE:
1 Cfr. AGOSTINI B., La mia terra la mia gente, Trento, Ancora, 1984, p. 93.
2 Cfr. TURRINI F., Storia e storie nelle Valli del Noce, Ossana (TN), Tipolitografia STM sns, 2001, p. 119.
3 Cfr. BEZZI Q. FAGANELLO F., La Valle di Non, Trento, Publilux, 1967, p. 15.
4 Cfr. BORZAGA G., Come vivevamo noi trentini, Calliano (TN), Manfrini Editore, 1996, p. 89.
5 Cfr. CAMPI L., Studi di Archeologia parte prima Rinvenimenti archeologici a Meclo nella Naunia, Cles (TN), Pro cultura
Centro Studi Nonesi, 1998, p. 19.
6 Cfr. PASSARDI P., Studio Geologico – tecnico per il progetto di restauro monumentale del Palazzo Assessorile di Cles,
(P. DE 170 del C.C. Cles).
7 Cfr. BEZZI Q. FAGANELLO F., La Valle di Non, Trento, Publilux, 1967, p. 15.
8 Cfr. PELLEGRINI S. e LEONARDI E., Cles ieri 1880-1950,Cles (TN), Mondadori, 1999, p. 112.
9 Cfr. Ibidem, p. 9.
10 Cfr. DE BERTOLINI A., Paesaggi agrari. Il cambiamento. Cento anni di storia in Val di Non, Trento, Fondazione del
museo storico del Trentino, 2010, p. 1.
11 Cfr. PELLEGRINI S. e LEONARDI E., Cles ieri 1880-1950, Cles (TN), Mondadori, 1999, p. 19.
12 Cfr. BORZAGA G., Come vivevamo noi trentini, Calliano (TN), Manfrini Editore, 1996, p. 90.
13 Cfr. GRAIFF A., La Domus Dei, Comune di Cles (TN), Pro Cultura Centro Studi Nonesi , 2002, pp. 54-55.
14 Cfr. TURRINI F., Storia e storie nelle Valli del Noce, Ossana (TN), Tipolitografia STM sns, 2001, p. 101.
15 Cfr. GRAIFF A., La Domus Dei, Comune di Cles (TN), Pro Cultura Centro Studi Nonesi , 2002, pp. 70-71.
16 Cfr. FERRARI E. SEMBIANTI F. TOMASI M. ZAMPEDRI G., I centri storici del Trentino, Trento, Editrice Temi, 1980, pp.
66-67.
17 Cfr. VERNACCINI S., Guida a tutto quello che c’è da vedere e da sapere viaggiando da Trento a Marilleva 900 a
bordo della Trento – Malè, Trento, Provincia autonoma di Trento, 2008, p. 54.
18 Cfr. PELLEGRINI S. LEONARDI E., Cles ieri 1880-1950,Cles (TN), Mondadori, 1999, p. 39.
19 Cfr. LEONARDI E., Cles capoluogo storico d’Anaunia, editrice Temi, Trento, 1982, p. 357.